“Diario sindacale-spiriturale all’Esquilino” in ESQUILINO POESIA E DINTORNI (Edizioni Progetto Cultura 2025)

Grazie a ESQUILINO POESIA che, invitandomi a partecipare all’antologia ESQUILINO E DINTORNI (Progetto Cultura 2025), a cura di Letizia Leone e Angelo Florio, mi ha dato l’occasione di riprendere un ricordo lontano ( erano gli anni tra il 2007e il 2011) ma molto vivo, di quando frequentavo ogni giorno l’Esquilino per lavorare nella sede del Sindacato Nazionale Scrittori a Via Buonarroti e andavo ogni giorno nella pausa al Tempietto buddhista di via Ferruccio. Da questo ricordo è scaturita la pagina di “Diario sindacale-spirituale all’Esquilino”. Come dicevo ieri nella presentazione al Campidoglio, il pendolo esistenziale tra sindacato (impegno civile) e vocazione spirituale ha generato tanta scrittura e tanta vita, un movimento che con evoluzioni diverse dura ancora.

 

Tiziana Colusso

Diario sindacale – spirituale all’Esquilino 

 

L’Esquilino è una galassia, con innumeri pianeti che ruotano in orbite complesse, a volte caotiche.  Ho frequentato per anni il quartiere, in ogni giorno feriale, ma avevo due pianeti precisi sulle mie mappe di navigazione, con orbite irrelabili, anche se situati a cento metri di distanza uno dall’altro: il palazzo CGIL di via Buonarroti e il tempietto buddhista affacciato su via Ferruccio. Per anni ho lavorato in un ufficetto che la CGIL aveva messo a disposizione del Sindacato Nazionale Scrittori, ovvero degli scrittori che per passione collettivista avevano scelto di lavorare anche per il Sindacato di una categoria talmente atipica che nemmeno in CGIL sapevano come definirci. E infatti ora il Sindacato degli Scrittori non esiste più, almeno in quella irripetibile formulazione collettivista.

Ogni giorno, nella pausa, sentivo il bisogno tutto mercuriale di sbarcare in altri mondi. Vagando per il quartiere avevo scoperto un luogo inaspettato, una vetrina affacciata su strada, nella quale troneggiava un grande Buddha dorato. Mi avevano detto che era statua di Budai, l’incarnazione di Maitreya come Bodhisattva felice, conosciuto dalla comunità cinese come il “Buddha nel garage”, perché questo era stato l’uso dello spazio prima di diventare un tempietto, succursale di un tempio più grande situato ai margini della città, nonché di un tempio originario che si trova a Taiwan. Il tempietto era quasi sempre aperto, abitato da monacelli e monacelle vestiti di una sobria veste lunga color fango, come quella dei monaci del maestro Thich Nhat Hanh, che avevo visitato nel suo tempio in Francia, il Village des Pruniers, dove si era rifugiato dopo la fuga dal Vietnam e un lungo vagare.

Prendere rifugio è per i buddhisti un passaggio fondamentale: si prende rifugio nel Dharma, con l’impegno di studiare e praticare le dottrine e soprattutto di trasformare il proprio modo di stare nel mondo. A me bastava prendere rifugio per un poco, nella saletta interna con le campane per le cerimonie, gli incensi, altre statue meno imponenti di quella all’entrata, e comodissimi sgabelli imbottiti sui quali si poteva restare in un denso e sensato silenzio. Alla fine della pausa, tornavo al mio pianeta sindacale, ad ascoltare su per scale e negli uffici persone infervorate a parlare di diritti, giustizia sociale, solidarietà e altri valori nei quali era – ed è – altrettanto sensato prendere rifugio.