
TIZIANA COLUSSO “Corpo conduttore. XXXIII variazioni” (Edizioni Progetto Cultura 2025), con una nota introduttiva di Antonio Casciaro EAN 9788833567501 ISBN 833567508 Euro 12
INDICE note di lettura e commenti al volume (in ordine di arrivo)
Antonio Casciaro – nota di prefazione (sociologo, esperto di Qi Gong e formatore)
Giansalvo Pio Fortunato (poeta)
Amanda Carloni (sinologa, direttrice scuola di Zhineng Qi Gong “L’efficacia dell’armonia”)
Massimo Minelli (istruttore Zhineng Qi Gong)
Luigi Colusso (medico e attivatore di servizi per l’elaborazione del lutto e la prevenzione del suicidio)
Marzia Corteggiani (artista, autrice dell’opera riprodotta in copertina).
Antonietta Tiberia (poeta)
Carlo Di Legge (poeta)
Giuseppe Vetromile (poeta)
TESTI
Antonio Casciaro – nota di prefazione (sociologo, esperto di Qi Gong e formatore)
I cieli che spingono dal sottosuolo bussano alla porta della bellezza. Richiedono trasmutazione, nuova produzione di senso. Polisemia di un corpo non ubbidiente, che si allontana dalla legge del discorso e della ripetizione. L’indicibile si fa strada. Una diurna coerenza perduta. Si rivela una tensione, un atto di trascendenza.
Quanto sei disposto a svelare, di te stesso a te medesimo? Quando decomponi e ricostruisci metti in campo il pudore. Quando si lavora la materia, il sé e lo spazio, imaginatio si pone al centro. L’immaginazione apre le porte e ci indica la strada per entrare in uno spazio generativo. Ogniqualvolta che ella opera, si comporta come Efesto, dio del fuoco e della metallurgia, vuole essere invitata alle sacre libagioni – così già recitano gli Inni Orfici – “affinché sempre assista alle opere liete ed estingua la furibonda follia del fuoco indomito e nei nostri corpi conservi la fiamma della natura”. Phýsis: generare, crescere, essere.
La potenza del nascosto sottrae alla routine e ci pone nella situazione di scegliere: per timore resti nel lago paludoso delle stantie abitudini o subisci il fascino di forgiare il metallo della volontà e della fiducia spirituale? Per aprire la scatola magica dei nostri organi-emozioni è necessario attraversare il sentiero del pudore senza ridurne la numinosità. Apertura richiede ricettività, ma affinché si mantenga pura è indispensabile custodire il sacro che la protegge. Custodire la verità profonda dell’intimità. Quel nucleo di luce che abita ciascuno di noi. Il volto dell’altro, e del doppio che ci abita, ci interroga. Il limen. Una esperienza di transito.
Alchimia e pudore sono correlati dalla potenza del mistero, qualcosa che sgomenta ma che l’immaginazione rende percorribile. Trasformabile. La vita e la morte sono i poli supremi della dinamica alchemica, un lavoro che diventa operativo quando si inizia a unificare. Con il Qigong – scambiando il Qi interno con quello esterno, massaggiando e ruotando, accumulando e rilasciando – il corpo entra in risonanza con un pensiero che penetra in profondità le forme e nel vuoto sosta; facendosi cullare dalle fluttuazioni. Libere frequenze che si accordano reciprocamente fino una completa integrazione: coniunctio.
Quando si lavora il Cielo Posteriore ci si fa cullare da quello Anteriore, quando si ruota la bocca dello stomaco si raggiunge il volano della colonna vertebrale, quando si entra sciamanicamente nello spirito della Gru si oscilla il collo avanti e indietro. Si compie una curva, una fusione-trascendente.
Nel qui e ora, vita e morte si fondono. Una opera grande; magna perché è una verità che si fa adesso. Emet, come nella mistica ebraica. Una verità che palpita di fiducia spirituale.
L’inenarrabile è la Nigredo. Quel fondo oscuro che spesso tace per pudore, per non farci del male, e che sa che può attivarsi solo quando siamo pronti, pena la follia. Il grigio corvino pone una sfida alla coscienza diurna, indica la strada dell’integrazione. Il suo pudore, che rifugge confini netti e traccia sfumature di bianco e nero, è il nostro pudore, il timore di scoprirci. La soglia, come cenere sparsa sul davanzale, richiede colori di transizione e stati di coscienza liminali. A reggere gli argini è la roccaforte del sacro (pudore), affinché non venga banalizzato l’atto di espoliazione. Un velo sottile che, come quello della natura, parla per immagini. Aperture di esperienza. Il linguaggio della gentilezza.
La geometria indeterminata di questa sottile linea è la segnatura della materia, la libertà della coscienza alchemica. Diafane fantasie di vuoto. Se volessimo rappresentare il suo lògos potremmo farlo solo con la matematica della probabilità, capace di predire solo la possibilità che l’esperienza della realtà profonda accada. Se invece superiamo il tema della misurazione, entriamo nel dominio alchemico delle leggi del cuore spirituale, affinché tutto viva “nell’essere già” di una coscienza lavorata (in senso filosofale) e nel risultato della trasparenza: fusione-trasformazione-unione. Una necessità non logica, ma spirituale. Il regno della facoltà, della libertà. La possibilità di fare. Poìesis
Il fuoco sacro si nasconde nell’ombra dell’acqua e, pian piano, con il duro lavoro permette all’indicibile di diventare materia prima. Qualcosa di aereo vuole congiungersi con le fermentazioni e le putrefazioni dell’addome: polmoni e intestino crasso (coppia energetica di metallo), cuore e intestino tenue (coppia energetica di fuoco). Così Efesto forgia l’elmo di Hermes e lo scudo di Achille. Lavorando i metalli con il fuoco del vulcano e la luce dei fulmini, il deforme sposo di Afrodite, dà vita alchemica alla metallurgia.
Il diamante della vita sa che deve fondersi con la perla dell’imperfezione. E lo fa con il bastone di Asclepio, i cui sogni sono credibili. Discernimento cardiaco.
Il fuoco dei reni cela la radice della vita, l’essenza primordiale. Un fuoco di luce incastonato in due ali d’acqua, i reni. Le vertebre lombari pensano il vuoto e, nei loro spazi reciproci, preparano il terreno ai soffi primordiali. Quando si massaggia l’ombelico si ruota il sacro dei reni: per formare una sola cosa. Un vapore, una nebbia, fusione di acqua e fuoco. Così in alchimia interna.
Corpus vivum, un corpo che si trasforma; a partire dall’indicibile che abita ognuno di noi. Noi, gli animali del linguaggio verbale, siamo senza parole. Il mistero, corpus animatum, necessita di essere affinato, perfezionato, albeggiato con il potere del mondo onirico. Quando i sogni ci vengono a trovare, ci indicano nuove sostanze da generare, raffinare. I sogni e i soffi così diventano ancora più sottili, fino ad arrivare a un corpo trasparente. Il midollo spinale e la colonna si trasformano in un’antenna che si eleva sopra la testa, sale dalla sua sommità (Baihui), il punto più alto del meridiano governatore. Il potere di pacificare il vento, il ritmico battito della limpidezza. Albedo, pietra al bianco e ancora imperfetta. Un cigno.
I soffi sottili, nelle narici insufflati dall’universo, trasportano gli spiriti delle specie viventi, ora lumaca, ora salamandra, ora fenice. Anima balugina, ma è dispositivo di volo. È necessario non far rumore, entrare in fase. In quest’ultimo volteggio di piume si realizza una sublimatio di vapore, con ali trasparenti che ascendono. Una sostanza-non-sostanza, coagulatio-non-coagulatio. I soffi trasformano essenze. La musica del silenzio.
Quando il corpo lascia il posto al soffio, ci si evolve in uno stato di puro movimento in cui potenza e leggerezza si intrecciano in un cordone di seta senza fine fino a quando rimarrà solo la memoria del volo della fenice; pura informazione.
Melusina che scende dall’albero della vita seduce a entrare nel regno del mistero. La fata-sirena indica la via del labirinto. Quando si trasmuta, si producono nuove sostanze. Il senso e il segno non abbisognano, in alchimia, di significati; la mente si riduce e il cuore si espande. Energie e istinti si trasformano in forza spirituale che, trapassando la Rubedo, vola verso il vuoto. La mappa del centro si schiarisce. Rinascere dalle arabe ceneri. La pietra al rosso, l’uovo della fenice si è trasformato in uovo filosofico.
Cantare e respirare sono due modi di fare di Armonia. Ares e Afrodite hanno concepito – in gran segreto – il ritmo della vita; rebis alchemico. La furia del sottosuolo si è lasciata rapire dalla bellezza della città incantata. L’attrazione della luce ha sedotto le ombre e le ha trasformate con lo scettro del canale centrale. La donna-pesce adesso può navigare senza timore nell’acqua delle lacrime. La vista si è rischiarata.
Quando l’incompiuto incontra il cuore limpido, il fuoco alchemico dell’intenzione rende il corpo trasparente. La grande triade è adesso un intero. Terra, uomo, cielo: l’albero della vita è stato perfezionato. Aurum nostrum non est aurum vulgi.
La coscienza alchemica. L’aquila ha divorato il leone.
Giansalvo Pio Fortunato (poeta), nota di lettura in via di pubblicazione sulla rivista letteraria “IL MANGIAPAROLE”
Storiografia secondo il corpo: su Corpo conduttore di Tiziana Colusso
La forza di un corpo conduttore si esplica ogniqualvolta si ha la capacità di collocarsi nelle piaghe sofferte, nei roboanti vuoti d’ossa e di vita. Si tratta, dunque, di un’azione centrifuga che non solo supera nettamente il divario tra la fisiologica causalità degli impulsi e la cosciente ritensione e pro-tensione esistenziale, ma che è in grado di valicare le temporalità: per farsi eternità smezzata o eternità composta. E se c’era un Dio immanente, un Dio causa causante, che non è stato alitato (alitando soltanto), ora il Dio si manifesta nella crocifissione a farfalla: armonizza il martirio con le spalle non chiodate ed espone il petto come esito di una ramificazione più ampia, di un’alba dolorosa; non cruenta, non rigida.
Ogni opera
è alchimia, ma solidificata
in una forma appassisce presto
farfalla a vivo crocifissa
Forse aveva ben ragione chi sottolineava che la cruenta sofferenza del Cristo fosse necessaria, nella sua descrizione, solo ad una sistematizzazione di culto: l’agnello insanguinato doveva inaugurare una nuova Parasceve, dimenticando le intercapedini, le piaghe silenziose che concorrono alla luce.
Tempio nel buio denso della carne –
da ogni fessura cola la luce
kintsugi che non ripara le ferite
ma le trasmuta in oro sapienziale
È il gesto, in fondo, dell’emettere lo spirito: quello spirito incarnato tramite un soffio, tramite l’attacco silenzioso che ricostruisce nell’unità cosmica l’intenzione alla non solitudine, l’atto d’amore, la continuazione negli occhi dell’altro. Uno spirito, va chiarito, che sa di combinazione genica, di miracolosa (certamente) persistenza in una vita lunghissima che, nella minima mutazione genica (il 99% di patrimonio genetico è identico in tutti gli esseri umani), assolve a quella lunga evoluzione continuamente garante del fragore dell’acqua / delle acque, del turbine minimo dell’aria, del soffio che prima dilatava le branchie, ora i polmoni. È pur vero che la storicizzazione mostra la nostra pochezza e la linearità del tempo assolve ancora di più al dovere dell’eccezione, al trascendimento che rivendica autorità: al trascendimento che dà al sensibile la frenesia dell’intuizione complessiva ed al corpo la sua regione di battaglia quotidiana. Ma se fossimo, invece, tessuti nel nostro spirito? Se fosse il corpo a tessere il nostro spirito?
Il grande mistero paradossale del corpo è la sua assenza di confini, la sua inter-soggettività stagnante che non conchiude, che non irrobustisce, che non esilia, che non limita. Il grande mistero paradossale della coscienza è il suo non inveramento trascendentale: non ancora scoperto, non ancora tematizzato, ma avvertito, producente significato, latore di posizioni concretissime. C’è una diatriba, in fondo, tra l’elettrificazione neuronale e la diversa facilità di pensiero, tra l’ammissione di verità ed il rilassamento dello sfintere anale. C’è una sfida che attende quell’arto fantasma che è il cuore, capace di ricordare, oltre il distacco, ciò che è stato, oltre la minima percezione il silenzio più grande che è ammissione di un’ombratile costitutivo.
Sfiorando leggera il marmo spezzato
un’antica frattura mi duole, dalla
scapola all’arto fantasma del cuore
Così, se si è iniziati ad una rifrangenza olistica, diventa necessario decostruire. Decostruire il padre costruttivamente sistematizzato che, studiando l’oltre il corpo, è studiato, accarezzato, sentito per il corpo/cadavere vivente o coscientemente vivente che sia.
Decostruire la madre raccolta nell’esemplarità del corpo conduttore e latore di senso: la storia di una violazione materica della memoria, causante poi il vuoto; il vuoto dello spirito. Decostruire la sanità della ricombinazione genica, che ha dato quegli sguardi, quelle miniature interpretative, quelle orme solcate nelle espressioni, quelle orme solcanti il modo di guardare il mondo ed influendo sul superamento di visuale: indirizzandolo. Decostruire le perdite premature. Decostruire la disgregazione di chi è ancora vivente in un corpo in metamorfosi, in un’empatia in metamorfosi, in quella voce che è ora brusio, miagolio.
Padre nudo di ogni identità –
la tonaca di giovane teologo
la divisa della tua vita adulta
che ci divise, per partito preso
Decostruire un proprio corpo, tempio delle orme di ciò che è stato, teatro dell’irreprensibile, luogo della fulminazione, fibromialgia nel visibile e nell’invisibile. Decostruire una coscienza attuale e pronta, segnata nella sua onnipotenza, costretta positivamente al limite del vissuto, aperta a quell’Uno primordiale che avanza per sospiri, per mani e per piedi tra l’ombra e la luce, anfibia.
Logos allo stato nascente, il corpo
alchemico non manca di nulla.
Fluido, senza nodi e catene
scorre anfibio tra l’acqua e la luce
come al principio del mondo, connesso
all’Uno immanente della materia
Il grande merito della decostruzione, in fondo, è proprio questo: non annichilire, non sbattere iraconda il mondo che è lì fuori o il mondo che è dentro. Si tratta, piuttosto, di attendere metodicamente secondo una fisiologia della coscienza, secondo una fisioterapia che faccia pace con i buchi produttivi del corpo, che assegni la legge spirituale delle membrane e dei condotti o, meglio ancora, che doti di materia fluida, viscosa e riassorbente il momento esatto in cui l’intenzionalità vorrebbe distaccarsi, prendere la strada del divino astratto e del discreto margine di seduzione appartenente all’epochè: al non scalfibile.
I miracoli sono ciò che il corpo
fa quando abdica la mente sovrana
ed emerge la coscienza illimitata –
informazione materia energia
Per questo funziona la decostruzione. Per questo luce e ombra compongono siluri sincronici, incrociando le loro lingue, assistendo al fuoco e all’acqua, restando mediatori di chi ricalibra il dolore e la felicità, la piaga e la liberazione, la costrizione di una vita sintomatica e l’apertura coinvolgente al riafferramento (al ripartire parzialmente daccapo), la rinnovabilità di un complesso d’apparati che guariscono e l’inalienabile richiamo del già vissuto sul da vivere.
Questa storiografia prende via via piede con l’egida della salamandra, che, oltre la resistenza al fuoco, conosce il peso demoniaco del sangue: quand’esce fuor d’acqua e sa che la palude non fa sconti. Non si tratta di animata follia o di gigantismo mistico. Si tratta semplicemente di raccogliere le nostre Babele e farne fuochi diasporanti, dissoluzioni arbitrarie chiamate a godere del sacro dolore della gioia.
Io preferisco come le salamandre
resistere passando nelle fiamme
svelta, caparbia di una necessità
codificabile solo in guizzi
di luce, in dolorose mude
Amanda Carloni (sinologa, direttrice scuola di Zhineng Qi Gong “L’efficacia dell’armonia”)
In Corpo conduttore, Tiziana Colusso dà voce al corpo come strumento poetico e ricettivo. Sentire emergere tra le righe concetti ed esperienze proprie della pratica del Qigong è un piacere che si somma alla bellezza della lettura, arricchita dalla centralità del respiro e dell’ascolto profondo del fluire dell’energia vitale. Un’opera sottile e intensa, in cui poesia e pratica si fondono con naturalezza. L’autrice riesce a coinvolgere il lettore a 360 gradi, trasmettendo esperienze intime con autenticità e delicatezza. La lettura diventa così un percorso sensoriale e interiore.
Massimo Minelli (istruttore Zhineng Qi Gong)
Corpo Conduttore: l’incisivo e allo stesso tempo evocativo titolo dell’ultima silloge poetica di Tiziana Colusso – che ho il piacere di avere come allieva nell’arte del qigong – sin da subito promette quel che il lettore, felicemente, troverà confermato nelle trentatré poesie all’interno del volume.
Si pensa, a volte, quando la poesia non la si frequenta o non se ne frequenta di buona, ch’essa sia o persino debba essere qualcosa di evanescente, per non dire di nebbioso e di vago, laddove l’evocativo linguaggio poetico – volto a suscitare, per partecipazione, vere e proprie esperienze interiori nel fruitore – deve avere una sua forma di puntualità che, quando raggiunta, lo rende al tempo stesso estremamente incisivo, appunto, senza d’altro canto mai avvicinarsi al linguaggio analitico della prosa saggistica. Mai, evidentemente, neppure nella poesia più filosofica.
Ebbene, qui l’Autrice conferma la sua tempra poetica dichiarando apertamente, da una parte, il rimando di tutta l’opera all’alchimia tanto occidentale quanto orientale, ossia a una tradizione che correttamente può esser detta sapienziale (l’aggettivo si ritrova fra i versi), senza però cadere, dall’altra, nella trappola del didascalico, ossia rimanendo sempre puramente e profondamente poetica, persino laddove si spinge a utilizzare espressioni tecniche dell’arte del qigong o affini.
In questi versi, è appunto il corpo a parlare: il corpo che vive esperienze attraverso le quali è possibile riconoscere il portato della pratica, tradizionalmente vissuta – anche informalmente – come un affondare della coscienza nel mare dei processi vitali, riconoscendone il nesso con il magma delle emozioni e con i baratri del pensiero. Ma anche il corpo che – con la medesima sensibilità: carnale, fluida, elettrica ed eterea insieme (potente e chiara arriva, dalle suggestioni sparse nelle tre sezioni dell’opera, l’informazione dell’umano come Intero compenetrato di livelli) – ha la sua storia di nascita e morte, che giunge da ere geologiche lontane e sorpassa, anche in avanti, il limite dell’esistenza individuale; il corpo che vive di relazioni profonde (di cruda e autentica bellezza i quadri famigliari, compreso quello, irrealizzato e irrealizzabile, che non potrà originarsi dal “vacuum” di un grembo vuoto); il corpo, infine, che abita un paesaggio interiore ed esteriore insieme, che lo sguardo della poetessa, da un lato, e l’esperienza della praticante, dall’altro, alimentandosi a vicenda tendono naturalmente a connettere in una mai confusa unità. In un vivente Intero che si palesa come tale proprio e soltanto nell’accoglimento del terribile della vita, del dolore e – qui si aprono alcuni dei passaggi più belli – di quegli eventi-soglia di fronte ai quali si tenderebbe a volgere, spaventati, lo sguardo altrove, mentre essi più di tutti ci chiamano, per dirla con Rilke, a “stare davanti”.
È precisamente questo stare davanti l’atto radicale tanto dell’autentica poesia quanto di ogni disciplina che si configuri come percorso di consapevolezza: l’atto alchemico per eccellenza. Trasmutato da esso, il vissuto poetico o, se vogliamo, il poeticamente vissuto si fa conoscenza e – insieme e a maggior ragione laddove l’Autrice canta la vita nella sua più nuda verità – struggente bellezza.
Marzia Corteggiani (artista, autrice dell’opera riprodotta in copertina). Lettera all’autrice del 11 novembre 2025
Stanotte ho riletto il tuo poemetto e nel silenzio ogni tuo verso, ogni tua parola, ogni tua sillaba hanno risuonato dentro di me così fortemente da costituirsi in potenti fermo-immagini, quasi sculture della tua vita e della mia, un’eco del dolore che tutti ci portiamo dentro. Senza sbavature né piagnistei. Un percorso di conoscenza e visione. Grazie per avermi coinvolta in questo tuo lavoro.
Luigi Colusso (medico e e attivatore di servizi per l’elaborazione del lutto e la prevenzione del suicidio)
Ho letto Corpo conduttore appena arrivato. Poi l’ho lasciato un po’ lì. Ieri l’ho riletto e gustato in pieno. Si nota bene anche il passaggio di ritmo e di prospettiva delle tre sezioni. Dolente e “immobile” quando si tratta della famiglia, pesa la fatica del lasciar andare con i morti le storie irrevocabilmente vissute. Molto godibile la musicalità e l’energia dell’ultima sezione. Naturalmente ho letto anche la nota introduttiva di Casciaro: molto colto e profondo, qualcosa mi è sfuggito, forse per mia insipienza o forse ha osato troppo.
Antonietta Tiberia (poeta)
La nuova raccolta di Tiziana Colusso, Corpo conduttore, già dal titolo ci indica quale sarà la tematica delle sue poesie, con allusione alla metafora che considera la condizione umana umile e fragile. È un piccolo spazio narrativo a sé stante, in cui si dipana la complessità di un pensiero. Il corpo, nelle sue XXXIII variazioni, si impone come specchio dell’esistenza, come modo per entrare, comprendere e mostrare il mondo reale. Si può definire il racconto o meglio la comunicazione, non priva di una certa efficacia, delle esperienze vissute dall’autrice che ne annota le lacerazioni, le speranze, gli entusiasmi. I suoi testi, poetici e intensamente riflessivi, risuonano come un viaggio che spazia dall’intimità personale all’universale, diventano pretesto per una riflessione profonda sul tema tragico della predestinazione, della malattia, della morte, della precarietà e brevità dell’esistenza, della responsabilità individuale rispetto alle scelte maturate nel corso della vita.
In questo suo nuovo libro la poeta conferma un suo carattere essenziale nel controllo della forma e della pronuncia, nella capacità di dar vita a una lettura lirica dell’esperienza attraverso una resa espressiva di sobria e insieme sintetica incisività. Il suo dettato è scandito con quella sicurezza che non deriva soltanto da esperienza e mestiere, peraltro ben acquisiti grazie all’assiduità dell’impegno, ma soprattutto in virtù dell’evidente chiarezza e saldezza di pensiero, elemento basilare per ogni espressione che voglia risultare ben compresa: Il corpo è un autore prepotente / quando vuole secerne un lamento / in inchiostro rosso attingendo / a un calamaio segreto di dolori / e proteste da sempre imbavagliate.
Raccontarsi, sia in prosa che in poesia, è un grande rischio che comporta il coraggio di affrontare le reazioni, i commenti di chi legge e interpreta a suo modo e sul metro delle proprie conoscenze e sul livello della propria cultura specifica. È ciò che capita a coloro che scrivono. E Tiziana Colusso questo coraggio ce l’ha: con tocco leggero affronta temi scottanti e attuali come i rapporti familiari, il decadimento fisico e mentale, la difficoltà di prendere decisioni in grado di influenzare pesantemente la propria vita e quella delle persone intorno a sé. E ci offre una storia drammatica ma ricca di speranza, che riesce a commuoverci senza cadere nel melodramma. Dunque, un florilegio autobiografico che ci fa intravedere la parte più intima della sua anima; mette a nudo limiti, tristezze e dolorosi ricordi, ma anche gioie, successi e speranze dell’intera sua esistenza. Articola il suo testo a partire da una inquieta registrazione del reale fino a dettagli di cronaca, nella loro dimensione spesso di dolore e violenza, nelle oscillazioni tra luce e morte, tra innocenza e desolazione. Tra realtà e vissuto, immaginazione e fantasia, scaturisce un’opera frutto di ansie e paure, di desideri e fantasie, da slanci assopiti dal tempo che rispecchiano un fermento di cambiamento e di idee sempre in movimento dell’autrice: una lunga meditazione sulla Morte, sul Tempo e sul nostro effimero, un atto naturale, vitale, necessario.
Tiziana Colusso è una poeta grintosa; eppure, delicatissima nell’aprire lembi di sentimento e di dolore. La lacerazione interiore è in generale l’origine dell’ispirazione, del suo linguaggio violentato, delle sue liriche insistite come deliri: Mi da filo da torcere, tormenti / e io testarda li ritorco in canto; affida alla poesia il compito – antichissimo – del canto funebre e, più implicitamente, del difficilissimo tentativo di sopravvivere a uno choc impossibile da rimuovere. I suoi versi sembrano assumersi senza imbarazzi o infingimenti un altro dei ruoli-chiave dell’intera lirica occidentale: la possibilità per la poesia di essere anche alleggerimento del dolore, strumento lasciato al soggetto per custodire un’identità – la propria – che rischia di essere travolta dal male e dallo strazio. Il verso diventa il metro della propria sofferenza; davvero la lirica è riduzione del mondo intero a una ferita, e traduzione di quella ferita in verbo.
L’autrice non vive di nostalgia ma di rigenerazione. È un’artista dotata di un proprio marchio stilistico evidente e riconoscibile che riflette in tutte le sue creazioni una parte di sé, a volte più celata altre più manifesta. Nella lettura delle sue poesie si percepisce un gioco continuo di luci e ombre, di morte e di rinascita, di dubbi e di speranza, tutto magistralmente concertato in una armonia di suoni e di parole, a volte molto ricercate, in cui prevale un senso diffuso di quieta saggezza, una natura di attenta osservatrice che commenta il vissuto e la memoria senza enfasi, ma con sentimento attivo. Appaiono ricordi sempre vivi nella mente, con personaggi appartenenti a una realtà familiare, a partire dalla figura paterna.
La spinta di entusiasmo contenuta in questo libro come negli altri dell’autrice è tangibile in ogni pagina: un continuo riflettere su se stessa che contiene implicita una esortazione ai lettori affinché facciano altrettanto, consapevoli che l’esistenza è un dono dalle mille sfaccettature. Più delle nostre parole lo dicono i titoli delle tre sezioni nei quali il libro si compendia: Nigredo (distruzione), Albedo (trasmutazione) e Rubedo (realizzazione spirituale), che sono, come avverte l’autrice, le tre fasi del Magnum Opus, il processo di trasformazione della materia prima. Sembrano davvero i passaggi di un manuale per la crescita e la realizzazione delle potenzialità individuali, che però si attuano non attraverso consigli di tipo motivazionale bensì con la fascinazione e la sintesi della poesia.
Poche ma intense pagine, nelle quali Tiziana Colusso dimostra di avere una buona conoscenza di molte lingue e di possedere un lessico colto ma d’impatto e una rara capacità di coinvolgere il lettore nelle sue difficili e dotte citazioni (dentro la sua poesia chiara e leggibile transitano tanti riferimenti letterari – dalle sacre scritture a Foscolo), che però non sono mai inserite a sproposito o per impreziosire il discorso.
Questo libro dimostra che si può e deve continuare a fare poesia anche nelle situazioni apparentemente più controproducenti: la poeta ha composto il suo manuale d’uso per passare agili nel mondo, uno strumento utile alla conservazione di noi stessi. In esso è celata una grande lezione, quella di saper vivere dentro e oltre il dolore: un desiderio di andare oltre le morti e le distruzioni.
Si può rinascere, dunque, attingere dal caos ed averne coscienza.
Carlo Di Legge (poeta)
Cara Tiziana, ci avevi un po’ abituati: chi legge questo tuo ultimo libro pensa di avere a che fare con il Qi Gong (pron. “cigong”), questa disciplina di origine cinese, imparentata con (parte di) ormai celebri arti marziali. Si può ben usare l’introduzione di Antonio Casciaro, per saperne qualche dettaglio, e da quella si evincono diverse altre cose. Prima, direi che la distinzione tra Oriente e Occidente è solo una costruzione come un’altra, sia perché i contatti ci sono sempre stati da che è storia (prima non risulta, ma…), sia perché a mio avviso, per quel che vedo, la differenza tra Cina e India, per dirne una, può essere “fino a un certo punto” reale (basta averle viste solo un po’), ma non più e forse meno di quanto siano differenti i popoli scandinavi da quelli mediterranei, che accomuniamo sotto la voce “occidente”: dipende da quel che stiamo dicendo.
Ciò premesso, sapendo che C. G. Jung ha scandagliato a lungo la chimica, l’alchimia e la distinzione oriente /occidente dal suo punto di vista, quello dei simboli di costruzione e trasformazione del sé, e collegando quel che dice Casciaro con quel che so delle opere junghiane, credo che i punti di contatto siano davvero notevoli, ferma restando l’autonomia del Qi Gong e del pensiero relativo. È un cammino molto interessante.
Un libro di poesia e insieme di formazione, sicché che da tutto il contesto “sincretistico” delle figure alchemico-mitologiche presenti, a livello “eurasiatico” se non planetario, il movimento delle analogie trova terreno fertile.
Ma di nuovo, le analogie su cui si lavora vanno considerate più che semplici similitudini, perché sono altrettante chiavi di relazione tra terra e cielo, visibile e invisibile, materia e spirito, corpo e mente.
Se si possiede la cifra della natura, si può influire su questa: regola della magìa ma anche dell’alchimia. E il corpo in ognuno dei suoi organi e dei suoi componenti è natura e può rispondere (“La via iniziatica che mi interessa… è anche quella tra l’alchimia e lo Zhineng Qi Gong inteso come alchimia della coscienza”) camminando in “lentezza” verso la spiritualità.
Nigredo, che vagamente somiglia all’Ombra junghiana. Qui sono inclusi i versi “neri” della morte del padre, del male della madre, della distruzione della famiglia; la fine dei fratelli, la “sorella (tuttavia) inattingibile”; allusioni continue, storia. Albedo, anzitutto modo di vedere, o della trasmutazione (modello, dico molto grossolanamente: metalli-oro); misteriose, s’intuisce dovute, chiamate in causa di materia vivente ma anche non vivente (o la materia stessa vive, oppure noi viventi siamo congeneri dell’inorganico, complicati composti chimici, il che è lo stesso) del mondo animale, delle bestie primordiali, dei nessi tra individuo e cosmo, stavolta in una direzione che vien descritta come progresso di luce (parola ripetuta), verso-luce, pur nel momento difficile come il “corpo ferito” passando per il Tai Ji (Tai Chi), attraverso nomenclature d’arti alchemiche, in cerca tramite respiro e canto (“solo una voce… che trasmuta la materia… respiro primordiale”, “prega con il respiro”). Rubedo, conseguimento dello spirito: già gli stessi atomi, particole ritenute non personali, le cellule, dicono “lingua sacra” di “amplessi” e “fratellanza universale”, diretti anzi componenti la mente, ma al contempo insegnando “impermanenza”. Qualcosa rimanda ad aspetti religiosi come la Trimurti, salvo che in quel contesto le differenze non sono mai così marcate (ma in questo caso? Non so se lo siano) e comunque è marcata l’evidenza d’ una o varie accezioni del sacro, inteso come “decisamente significativo in esistenza”. Perché il corpo sia in diversi sensi “conduttore” non va spiegato ma si può intuire.Grazie per il tuo regalo; buon cammino, un abbraccio.
Giuseppe Vetromile (poeta)
https://transitipoetici.blogspot.com/2025/12/il-corpo-conduttore-di-tiziana-colusso.html
